L'UOMO

Ovunque l'arte precedette la teoria: allorquando si crea, in uno sforzo concorde di tutta la sensibilità e di tutto il sentimento, l'opera di bellezza, non si disserta, e i veri creatori non hanno lasciata dietro di sé alcuna teoria.
Soltanto allorquando il bello non è più sentito lo si codifica e lo si commenta; la nozione estetica diventa in tal caso parto di professori di filosofia, che l'annettono alla morale o a qualunque altra categoria tradizionale. Così il dominio dell'ispirazione e dell'entusiasmo amministrato scolasticamente dai "reggenti", diventa un "genere letterario" e sfocia in sonore definizioni come, ad esempio: "il bello è ciò che piace alla virtù illuminata", oppure "il bello è lo splendore del vero". Definizioni che possono congiungersi alla tragedia purgativa delle passioni e alla commedia correttrice dei costumi. Questa fraseologia che ha il preciso valore di una frase elettorale, permette agli ignoranti d'insegnare.
Il Bello è una visione interiore in cui il mondo si riveste di qualità sovraeminenti. Colui che cerca di maggiormente e più minutamente precisare, cadrà in un dogmatismo letterario e non meriterà punto di essere seguito.
L'artista è un veggente che scopre in mezzo alle forme reali una nuova forma. Proceda egli per intensità o per armonizzazione, risponda Egli alle definizioni di stilista o di realista, l'opera sua consiste nel qualificare una forma.
Questa affermazione assai lata per le individualità più austere, contiene un eclettismo assolutamente solo apparente.
L'Arte è un alimento della sensibilità; essa è creata per alimentare l'anima delle folle e non per dare gioia a qualche solitario dilettante. Però la sensibilità deve essere guidata seguendo una specialissima dietetica sperimentale; e l'uffizio dell'estetica si dimostra essenzialissimo in questa educazione del gusto che vorrebbe condurre anche l'anima più ingenua ad un sentimento di profonda ricettività.
Accademicamente l'artista opera per sezioni: il pittore e lo scultore lavorano per l'amatore, ed il fanatico, il musico, per il melomane! lo scrittore... per il bibliofilo o magari per nessuno. Ad ogni ramo delle Arti belle corrisponde una casta chiusa che dovrebbe presentare le attitudini adatte ad un sicuro discernimento della gioia.
Antica concezione che viene sistematicamente distrutta dagli uomini d'avvenire; che era eccellente allorquando le Stanze, il Louvre, la Sistina, la Villa Borghese, servivano a re, a papi e a cardinali. Ai nostri giorni in cui è dato a tutti di gioire davanti alla Gioconda, agli affreschi Michelangioleschi, alla Primavera Botticelliana, bisogna rinunziare decisamente ai mandarinati estetici d'ogni genere; e far passare arditamente la nozione della Bellezza dal dominio della metafisica a quello della emotività.
Questa introduzione non sembri inutile al breve discorso che intendo fare per presentare l'opera e la vita di uno scultore che, volgendo verso quell'età in cui è tempo di raccor le sartie e spiegar le vele per un nuovo viaggio artistico, raduna una grande parte di quanto è emerso dal suo duro travaglio creativo e lo presenta in un volume al pubblico affinché giudichi con disinteressata passione e dica se l'Artefice è degno dell'assunto che, liberamente, si prescelse, allorquando mosse nella vita il primo passo alla conquista di uno scopo e di una definizione.
Non inutile perché per una libera, spontanea, diretta manifestazione del suo credo artistico, al di fuori di molte influenze facili a subire ed agevoli a seguirsi, l'Alloati volle essere Lui, semplicemente; schietto e rude in una concezione talvolta troppo sbozzata; ma direttamente espressivo e chiaro nelle linee di un sentimento modellato nella dura materia, con pollice fermo e certezza di quello che voleva e dello scopo cui tendeva.
Non inutile perché, alieno dalle astruserie metafisiche e dalle concezioni cervellotiche, egli intende l'Arte sua come espressa emotività e preferisce la figura nettamente sbalzata dalla scabra roccia, alla lavorazione cincischiata e modellata correndo dietro a concezioni vaganti nei cieli dell'ispirazione che, ricondotte in terra, e nel marmo, sfuggono ad ogni precisa modellazione e portano nel campo del finito, non già l'infinito dei cieli in cui volavano, ma pallide larve di sogni svenienti che nulla dicono al cuore delle folle e solo trovano ragione in tormentate anime di pseudo esteti e di femminucce isteroidi.
Un'arte sana, quadrata, virile, questa ci dà Giovanni Battista Alloati; un'arte piemontese, onesta e limpida, schietta, in cui circola una frizzante e vivificatrice aria di paese, satura di montagna, di colle e di pianura, tutta muscoli e sangue, tutta vigoria e asperità; come è l'uomo, come è l'anima, quindi, in quello che ha fatto, sincera.
La gioventù di Giov. Batt. Alloati non fu allegra. Come del resto è quella di tutti coloro che "con la piccozza d'acciar ceruleo" si scavano nel monte la strada, per salire un poco più in alto della comune media mortale.
Fieramente patriota fin dai suoi anni di adolescenza - come si mantenne sempre poi, anche e sopratutto in epoche nelle quali l'esser patriota poteva sembrare una posa d'interessato snobismo o un'anticaglia senza possibilità di rinascimento, anche a scapito del proprio interesse, a rischio della propria personalità artistica - può esser utile ricordare un episodio che torna a onore di colui che si comportò in seguito con così grande e disinteressato ardimento nelle battaglie della Grande Guerra ed in quelle civili di data ormai remota che prepararono quei manipoli che, oggi divenuti legioni, formano l'ossatura ferrea della Nuova Nazione.
L'Alloati si trovava, giovinetto, in collegio a Bastia, in Corsica... In quella "pistola puntata al petto dell'Italia " la carica di anti-italianità è sempre stata alimentata dalla più esplosiva polvere che certi clan di Parigi e di Marsiglia filtrano con sapiente alchimia politica entro i lambicchi delle più malvagie intenzioni.
Un giorno, traendo, come al solito, partito da una qualsiasi futile circostanza, si volle far gridare al giovinetto italiano, tra molti giovinetti francesi un entusiastico "Vive la France " che doveva andar di coppia con la parola di Cambronne all'indirizzo dell'Italia.
Il ragazzetto, con uno di quei gesti gagliardi che gli crearono in seguito una bella popolarità e qualche zaffata di nemici, scrollò la testa e urlò con tutto il fiato che aveva in gola: "Viva l'Italia" e il resto... a la France. Notiamo che si era nei tempi tristissimi di Aigues Mortes, quando i lavoratori italiani erano lasciati impunemente massacrare dalla plebaglia anarcoide d'oltr'Alpe.
Ma questo episodio, rivelatore più che altro di un temperamento, venne cancellato dalle soddisfazioni che la Francia diede al nostro scultore: poiché fu a Parigi ove lavorò al Petit e Grand Palais sotto la guida degli architetti Thomas e Douglaine che trovò la sua strada ed ottenne i primi successi; incoraggiato e guidato dal gigantesco Rodin, il superbo creatore del Balzac e del Victor Hugo, a continuare in quello stile scabro e deciso che non doveva mai abbandonare in seguito e che costituisce la caratteristica della sua scultura.
Venuto a Torino (dove già era stato allievo dell'Accademia di Belle arti, sotto 1'insegnamento di Edoardo Tabacchi) l'Alloati frequentò gli studii del Canonica e di Davide Calandra, affinando la propria personalità artistica e la sua maniera con lo studio dei più puri lavori dell'arte nostra; ma, non sempre docile alla vita, bramoso anzi di affrontarla a sgroppate, francata dai freni che le convenienze e gli uomini troppo spesso impongono alla libertà degli artisti, l'Alloati peregrinò a lungo in contrade straniere, indipendente, libero e quindi soggetto alle inevitabili altalene della sorte. Poi tornò come tutti i buoni torinesi che sentono una nostalgia invincibile allorché errano lontani dalla loro città e bramano di tornarvi per vivere la loro vita all'ombra di S. Giovanni o a piè di quei colli che degradando in curva armoniosa nel pittoresco sfondo del caseggiato urbano fanno da fantastico scenario alla città adagiata fra monte e fiume, regale, operosa, ciarliera e... alquanto pettegola.
E dopo le lunghe soste fuori Torino (che lo avevano fermato a Roma, e nuovamente a Parigi in una febbre instancabile di ricerche e di lavoro compiuto per conquistare la sicurezza di una propria definitiva personalità) ritorna nella capitale piemontese per tentare il suo più vasto sogno di giovine artista. E questo sogno si realizzò infine. Leonardo Bistolfi, il Maestro che riassume in sé le più alte superiorità artistiche e le più musicali sensibilità, il grande scultore che domina con le sue opere tutto l'ambiente creativo e sentimentale accolse il nuovo allievo con la larga ospitalità tipica del suo temperamento. L'Alloati ebbe così la certezza di un insegnamento formidabile, perché l'insigne Scultore non è per i suoi allievi un freddo accademico, ma un'inesauribile, luminosa fontana di vita, è un animatore, un apostolo, un padre spirituale. S'iniziò così l'attività veramente seria, controllata e inspirata del giovane scultore. L'amore che Egli sentiva per il Maestro si traduceva in intensità e volontà di lavoro; la venerazione per la Guida gli suggeriva le più armoniose e limpide visioni artistiche. Fu questo per l'Alleati un periodo di purificazione, periodo decisivo che mai doveva scordare, perché, anche quando le passioni della lotta organizzativa lo obbligarono ad assumere posizioni di responsabilità, egli, l'antico allievo, venerò sempre nel Maestro la ragione prima della sua fede e della sua opera.
Resosi indipendente, con la tenacia, il valore e l'intensità l'Alloati acquistò in breve celebrità e notorietà.
Egli non cercò protezioni e favori; alle alte amicizie che avrebbero potuto giovargli per salire più rapidamente e spianargli la via, nei momenti della loro potenza non diede altro che il sentimento di un cuore, forse un poco troppo schietto sì da parer primitivo e troppo immediato nelle sue esplosioni, sì da parer irruente.
L'una cosa e l'altra, mere apparenze... Perciò, tante amicizie di potenti gli furono pur rinfacciate da chi è pronto a mutar bandiera ad ogni soffio di vento e vender gli amici non pure per trenta danari... ma per qualche povero nichelino soltanto. Egli superò ogni piccola o grande avversità con maschia dirittura.
Apprese cotesta virtù dal padre, alla cui venerata memoria si piega di sovente con fervido culto di figlio; il padre, che fu uomo di colto e chiaro intelletto e prodigò una cospicua fortuna all'arte della ceramica a gran fuoco di cui esistono superbi esemplari al Museo di Arte Antica in Torino.
Modesto e probo, il genitore dello scultore di cui traccio il profilo, insegnò al figlio la virtù del lavoro come compenso solo a tutte le amarezze e i disinganni di cui la vita fa ricche le ore mortali.
La sua carriera stava svolgendosi in modo ascensionale, la fortuna arrideva chiara ed invitante, quando scoppiata la guerra ltalo-Austriaca, l'Alloati, abbandonando tutto e tutti, lo studio, la famiglia, l'Arte, la fortuna, partì volontario.
Del soldato altri parlerà con più grande competenza, altri che lo ebbe subalterno e che ne conosce incus et incute le bellissime qualità guerresche e ardite.
Io mi limiterò ad accennare che il gesto di Alloati fu e permane perfettamente coerente al suo passato e allo spirito che animò sempre di sacra fiamma un raro patriottismo ed un non comune senso di civismo. Io stesso, che per ragioni professionali mi trovavo nei luoghi ove l'Alloati compì i suoi exploits veramente notevoli, posso attestare l'autenticità di quegli avvenimenti che parvero leggenda e furono invece realtà viva che permane a indiscutibile onore per il cittadino che le compì.
Erano quelle giornate in cui affrontare in piazza la teppa, quella per cui ogni bandiera è buona pur di sconvolgere l'ordine civile - assoldata alla demagogia rossa - era audacia di cui pochi si sentivano capaci. Lontanissimi ancora i tempi delle belle ed eroiche squadre di camicie nere, remotissimi poi i giorni nei quali la polizia avesse coraggio e mezzi per ridurre a dovere l'imbestiamento dei facinorosi. Scarsissime le possibilità, incerte ed affannate le autorità se qualche testa di dimostrante portava qualche livido o sanguinava per qualche meno blanda reazione degli agenti dell'ordine; guardati con un senso di commiserazione quei pochi che si radunavano clandestinamente al fine di cospirare, incerti di sé e qualche volta delusi, per la grandezza della Nazione.
E' talvolta il gesto isolato, quello dell'uomo di fegato che si caccia nella mischia e compie un'audacia, che fa spalancare gli occhi agli altri cittadini inermi, pavidi, imbelli.
Tra questi pochissimi, in quei tempi, l'Alloati. In piazza Solferino una sera affrontò da solo un centinaio di giovinastri che stavano dando alle fiamme una bandiera dai sacri colori della Patria; Egli, malgrado il pericolo terribile perché molti erano armati, riuscì a strappar loro il drappo, facendosi largo a colpi di nerbo di bue e ferendo diversi avversari.
Nell'infausto periodo in cui si battagliava per le elezioni, pure quasi da solo, salvò, armato di una spranga di ferro che faceva roteare come un bastone, la Sede del Comitato elettorale dall'assalto di un forte gruppo di sovversivi che voleva distruggere le urne.
Un gruppo di testimoni gli fece dono della bandiera così coraggiosamente portata in salvo, recante nel bianco fra centinaia e centinaia di firme la seguente scritta: " Santo Tricolore - strenuamente difeso dall'eroe delle otto giornate - perché sventoli in eterno contro la teppa rivoluzionaria ".
E mai si smentì la sua fede patriottica: Nei momenti più drammatici delle lotte politiche Egli fu sempre in prima linea: anche nell'infausto periodo Matteottiano, quando molti temevano di professare apertamente le proprie idee e pareva si dovessero rinnovare i grigi giorni sovversivi, Egli sentì la necessità di allargare la propria azione dal campo artistico a quello politico, chiedendo ed ottenendo la tessera fascista. Così la sua antica sensibilità nazionalista si rinnovava alla luce della più grande potenza italiana.
Questo l'uomo; ché se talora parve o pare esuberante nelle espressioni, irruente nell'azione, impetuoso nel giudizio, pronto nell'azione, inquadrando codesti difetti apparenti nel suo carattere da moschettiere, nella sua alterezza d'artista, non dispiacciono o ampiamente si giustificano facendone risaltare i lati eccellenti di una sincerità nel cittadino e nell'artista, mai smentita.
Voglio ricordare un episodio di guerra, simile a molti altri... di cosiddetta pace.
L'Alloati con un pugno dei suoi prodi alpini occupava una posizione donde, con tiri aggiustati di mitragliatrice e bombe a mano recava danni considerevoli ai nemico.
Impossibile sloggiare quei quattro diavoli, di lassù con i mezzi ordinari.
Che cosa fare?
Scavare una mina. Ed ecco che, con un lento e paziente lavoro i minatori austriaci sprofondati nella terra la perforano e giungono a collocare le fatali cartucce di alto esplosivo sotto la caverna occupata dai prodi di nostra gente.
Caso, intuizione, miracolo, fanno sì che l'Alloati si accorga del pericolo che corrono i suoi uomini. Li fa allontanare: si mette egli stesso al riparo ed attende.
Un mugolo, una fiammata, lo scroscio...
Dopo che il fumo si è dissipato la montagna ha per lo scoppio una diversa configurazione! Ma il nostro prode è salvo con i suoi.
Così di pari... in pace avvenne per molte mine morali che nemici, assetati di favori pubblici, invidi, biliosi e un poco mentecatti, cercarono di far brillare sotto i piedi dell'uomo e dell'artista cartucce di chiacchere esplodenti. Risultato un fragore... e poi! Nulla.
Egli riprende, come contro gli austriaci, la sua battaglia d'ogni giorno. Illeso, amareggiato, ma sereno.
Eccovi dunque l'Alloati, artista di provato valore, cittadino d'indiscussa fede patriottica.
Per molti anni ricoprì cariche, si assunse responsabilità, lavorò per otto alfine di salvare situazioni difficili, sudò, si adirò, ma la sua attività organizzativa (che Egli esplicò per tutelare gl'interessi dell'arte e degli artisti) diede frutti imponenti e risultati vastissimi che resteranno sempre a testimoniare dell'operato d'un uomo che, disinteressato ed entusiasta, sacrificò tempo e denaro per il bene superiore di tutta la sua classe, ottenendo per questa ciò che nessuno mai avrebbe osato sperare. Si fece naturalmente un mucchio di nemici, ebbe pochi amici fedeli per sostenerlo nelle battaglie dure che dovette affrontare per la sua arte e per la sua dignità d'uomo.
Ma è codesta la sorte degli uomini d'azione degli artisti che " vanno per la loro strada " senza fermarsi troppo ad ascoltare i merli striduli o i pappagalli lusingatori squittire sugli alberi, i fischi d'una critica endemica, o l'elogio d'una servilità appena appena rassegnata.
Ora dalle battaglie si è ritirato con un certo sapor d'amaro nell'anima, ma con la intenzione di ridedicarsi all'insegnamento dell'Arte in quella sua Accademia Leonardo da Vinci, fondata da lui nella sua casa e che fu, per il passato, meta e ritrovò di appassionati del disegno e della scultura, di giornalisti, di artisti, di uomini di gusto.
Quest'Accademia (chiusa nei periodi della guerra e dell'attività organizzativa) rifiorirà così nutrita e curata di ancora maggiori esperienze e sarà certamente il centro più vivo, più luminoso e più sicuro di Torino moderna.
Lavora intanto alla sua grande opera d'importanza definitiva al Monumento ai Gialli del Calvario. Opera di vasta concezione, d'immensa solidità architettonica, di forte costruzione. Egli riassumerà in quest'opera tutte le sue qualità: della sua anima e della sua spiritualità d'artista unendo la fede e l'entusiasmo del soldato, la sua tempra di formidabile lavoratore con la sua espressione d'insuperabile creatività.
Ma se a taluno prendesse vaghezza di passare per via Moncalvo in una delle dolci chiare mattinate di maggio, un po' per tempo, s'intende e spiare oltre i cancelli d'una villa solitaria e quasi in sé romita, scorgerebbe (in un ampio giardino, che è pure frutteto, verziere) il vigoroso modellatore di atleti e di cavalli slanciati come a pigliar d'assalto le nubi , il forte, scabro, sicuro modellatore di busti, rincalzare con un sapiente lavoro di vanga i solchetti del suo orto tranquillo, curare con amore senza pari i rosai, ricchi di opima messe olezzante, mondarli, con mano lieve, quasi per timore di far cadere i petali dei fiori, ponendo nel gesto quella grazia intensa e un poco abbandonata, con cui seppe trarre dal marmo, sacro allo sforzo del creare figure di muscolare rilievo, la dolcezza di piccole ninfe equoree, accoglienti nel murmure dell'acque cadenti, come un'anima armoniosa diffusa in mille strani gorgheggi di delicate cadenze.
Ed il viandante auguri di cuore all'artista che va per la sua via, seminando opere e cogliendo rose dai suoi ricchi rosai, una lunga pace serena.

ANGIOLO BIANCOTTI