IL DECORATORE

Unici, i "pittori maledetti" possono fare a meno del pubblico. Tra gli altri, invece, ci sono quelli che hanno assoluto bisogno di parlare alle folle, e la grande arte decorativa è il loro linguaggio. L'Eplattenier ci ha fatto ricorso con una predilezione che non ha mai dissimulato, e se, anche in questo settore si constatano dei risultati fortemente dissimili, ciò è dovuto al fatto che il decoratore non lascia niente al caso, e mai si accinge all'opera senza avere preventivamente stabilito tutte le modalità di esecuzione.

In due dei suoi interni, la soluzione era relativamente facile. Nel 1907, un vicino di casa, l'ing.Matthey-Doret, lo incaricò di fare di una grande stanza di casa sua una sala della musica. L'artista immaginò un grande pannello a dominante di porpora che facesse fronte agli ascoltatori. Su di un vasto tramonto, dispose ritmicamente, sui lati, e lasciando libero il centro, quattro personaggi. Nobilmente drappeggiati all'antica, questi subiscono l'incanto della sera, ascoltando due belle musiciste dalle tuniche trasparenti, sedute di fronte ad ogni gruppo. In tal modo, e semplicemente, un'atmosfera ideale è così creata, fatta di grandezza e serenità.

Al contrario, "le vendemmie", composte nel 1933 per la sala da pranzo della "maison Bovet", a "Areuse", progetto inizialmente abbozzato da "Madame Henry Bovet", è una scena rustica, da "quadretto di famiglia". I "maitres" della vigna vi figurano, così come i loro parenti, aiuti e perfino i loro cavalli e cani. E' una felice composizione che, su due piani, accompagna e riunisce una scalinata di pietra: in basso, la raccolta piena d'animazione, in alto, l'euforia della pigiatura. Rivestita dai sontuosi colori dell'autunno, testimonia la serenità dell'artista nel legare il suo amore del particolare e del dettaglio con il senso pittorico e decorativo, sempre rispettando le esigenze del mestiere. Probabilmente pochi altri soggetti sarebbero stati così ben predisposti allo scopo ma, comunque sia, egli li ha magnificamente trattati.

Ha però dovuto affrontare ben altre difficoltà: aveva 26 anni quando, in collaborazione con il suo collega William Aubert, realizzava dieci grandi pannelli, animati da diversi personaggi, celebranti alcuni la guerra, altri la pace. Destinata alla vasta sala dello "Stand", a "La Chaux de Fonds", questi pannelli correggono, con la sobrietà dei colori e la pienezza d'un espressione drammatica o serena, ciò che l'architettura ha di banale e volgare.

Nei due anni successivi, si applicò molto alla decorazione di edifici e sale private, trattando temi diversi, e fu solo dieci anni più tardi, in occasione dell'edificazione di un Crematorio a "La Chaux de Fonds" che gli si presentò nuovamente l'occasione di accingersi a temi più vasti.

E' un ambiente quadrato, chiuso; una luce anomala ruscella dalla volta quadrangolare, attraverso vetri colorati profondamente incassati dentro cornici di gesso. Muri e porte, così come il catafalco, sono ricoperti di rame modellato a soggetti simbolici e decorativi, tutte opere dei suoi allievi. In cima al muro, però, il grande fregio dipinto è suo.

Il soggetto che domina l'ingresso è quello della pietà e della morte, presentazione simmetrica di due tombe, sulle quali giacciono due cadaveri nudi. Ad ogni estremità due figure velate, portatrici di corone, si struggono piangendo; seduta in centro su di un trono una donna dal lungo vestito stende le braccia in un gesto consolatore. Un altro pannello di analoghe dimensioni fronteggia l'ingresso, e mostra la purificazione con il fuoco: da un braciere centrale si innalzano ondeggianti fiamme che disegnano dei bei corpi nudi. Infine, sui muri laterali due pannelli quadrati si fronteggiano: rappresentano due donne alate, l'una sostiene il lume del ricordo, l'altra ordina il silenzio.

L'impressione generale è di meraviglioso raccoglimento. I toni, dolci, oscillano dal blu all'ocra. Il critico W.Matthey Clodet reputò queste pitture l'opera capitale dell'artista "neuchatelois". E non aveva previsto né i mosaici esterni dello stesso dificio, né gli insiemi di Colombier e di Coffrane.

I mosaici, in effetti, oltre a costituire una nuova tecnica, richiedono un grande sforzo di composizione. Le superfici sono notevoli: due metri e quaranta per nove, e l'esposizione all'esterno esige una grande intensità di espressione.

Sul muro sud l'artista glorifica la vita. Al centro, una giovane coppia esalta il bimbo in un bel movimento di forza e fiducia; a sinistra, l'adolescenza: Efebo che doma un cavallo ed una fanciulla che si mostra con grazia; a destra entrambi, dopo una pausa di riflessione si avviano per la strada della vita. Il pannello del muro nord, per contrasto, non presenta niente di stabile; corteo in marcia verso la morte, è scorrimento, fuga. Dei personaggi, alcuni si rivolgono all'indietro, verso le illusioni della vita simbolicamente espressi da un pavone, altri piangono o avanzano con decisione. La prima composizione, bionda e rosa ha, nella sua iridescenza, un andamento affreschista; la seconda, dal disegno molto statico e fortemente contrastato, è più mosaicista. Ma entrambe sono ricche, imponenti e nobili.

Nella sala dei cavalieri del castello di Colombier , invece, il decoratore ebbe a confrontarsi con difficoltà maggiori: il locale i cui muri dovevano essere completamente ricoperti, profondo quattordici metri, largo nove ed alto quattro, era scarsamente illuminato, interrotto da cinque porte, da un colossale camino a botte ed una scalinata ad angolo. Ora, non solo L'Eplattenier evitò tutte le trappole, contrastando la penombra con intensi colori, integrando decorazioni ed architettura e distribuendo ad arte i suoi diversi motivi, ma soprattutto realizzò un'opera ispirata.

Per commemorare la presa delle armi e l'occupazione delle frontiere del 1914 immaginò tre atti: il giuramento alla bandiera, la marcia ed il lavoro difensivo. Il gruppo di ufficiali intenti a pronunciare il giuramento è dipinto a destra del camino, ed accompagna l'obliquità della canna; la marcia cadenzata della fanteria che, preceduta dalla bandiera e dalle trombe sovrasta un'avanzata di artiglieria e la cavalleria, inizia sopra le porte, e continua ininterrotta per tutti i quattordici metri della parete nord. Qui regnano i grandi orizzonti, mentre sul muro di fondo, culmine del dramma ma incontro nello spazio dell'inizio, c'è, in un gioco di obliqui, la difesa del territorio: zappe, mine, camminamenti, terra sventrta a forza di mani nude, e vegliata da una sentinella.

Il colore è severamente limitato a quattro toni, ocra, blu, marrone e verde. L'apparenza, più di una pittura è di una tappezzeria imponente ma sobria. La formula decorativa è perfetta.

Rimane un mistero il fatto che, dopo tale indiscutibile successo non si sia trovato un mecenate per realizzare le decorazioni della seconda grande sala del castello.

Nello stesso anno, il 1933, L'Eplattenier abborda per la prima volta soggetti religiosi; realizza una vetrata per il tempio di Peseux, soggetti Gesù e la Samaritana: la compositione è ingegnosa e logica, la realizzazione audace.

Della decorazione interna del tempio di "Coffrane" realizza invece due vasti frammenti: l'annunciazione da una parte, la deposizione dalla croce e la resurrezione dall'altra. L'ambiente riprodotto è un grande paesaggio marittimo, rocce e nubi, tra cui dominano, parallele alle verticali dei personaggi, un cipresso, un lis, una palma ed un frammento d'architettura orientale.