TESTIMONIANZA
GIANCARLO MARCHESE

Giovanile, sportivo, deciso come un comandante dei bersaglieri, Adriano Alloati lo si vedeva attraversare negli anni ‘60 il cortile napoleonico dell’Accademia di Belle Arti di Brera con passo rapido e spedito. Ma non bisognava lasciarsi fuorviare da questa apparenza, egli di contro era un uomo sensibile e un artista lirico, fine e raffinato.
Figlio di uno scultore, aveva imparato la professione fin da giovanissimo e queste sue qualità si riversavano ovviamente nelle sue opere, che tendevano a perseguire un ideale di bellezza proprio in un momento storico che celebrava più volentieri la volgarità, passando dall’antigrazioso al fiato d’artista.
Tipico maestro del ‘900, amico fraterno di Achille Funi e di Gianfilippo Usellini, teneva con essi uno stretto rapporto culturale e umano.
Forse proprio per questa ragione preferì insegnare all’Accademia di Brera piuttosto che all’Albertina ove, tutto sommato, sarebbe stato più comodo.
Aveva partecipato al clima della cultura novecentista cercando di far rivivere in arte i grandi ideali della nostra cultura passata, come molti altri artisti della sua generazione.
Infatti, mentre Marini rivisitava gli etruschi, Messina e Sironi i romani, Funi i neoclassici, Adriano Alloati filtrava archetipi più sottili, ove si possono intravedere eleganze rinascimentali e raffinatezze Liberty.
Negli anni ‘60 ho avuto il grande piacere di essere stato il suo assistente, e dico piacere perché quando si sta vicino a un galantuomo, anche se molte volte si hanno idee diverse, tutto si risolve con grande facilità.
In quegli anni la mia scultura era orientata verso forme astratte e mi muovevo in una direzione culturale molto diversa da quella di Adriano Alloati, ciononostante quando dovevamo dare consiglio o giudizi agli allievi le nostre conclusioni collimavano perfettamente. Questo mi ha fatto comprendere che quando si ama l’arte di fronte alla qualità non esistono epoche, ismi e altre considerazioni che contino.
Furono anni di assistentato, ove non ricordo neppure uno screzio con Alloati; non fu mai routine, perché ogni giorno parlavamo di «arte» a pieno campo, da quella antica alla moderna, a quella dei nostri giovani allievi, dei quali molti ora si sono affermati come artisti.
Il corso, come lo aveva impostato Alloati, verteva sulla composizione in scultura e affrontava una serie molto ampia di problemi plastici e culturali: pertanto erano animate le nostre chiacchiere sulla scultura, soprattutto quando ci inoltravamo sul tema della scultura in funzione dell’Architettura.
Ogni tanto penso con molta nostalgia a quegli anni nella nostra Accademia, i quali ormai si stanno delineando come un periodo storico ben preciso ove da una parte vi erano personaggi come Funi, Carpi, Usellini, Marini, Manzù, Messina, Alloati ecc., quasi garanti di una dignità accademica, e dall’altra c’eravamo noi, giovanissimi assistenti tesi a ricerche semantiche più o meno spericolate.
Tutto questo era l’Accademia di Belle Arti di Brera negli anni ‘70 e penso che il confronto garbato tra questi due mondi così diversi sia stato di incentivo e stimolo a quanti hanno vissuto quel periodo.