Lantica modernità di Adriano Alloati
FLORIANO DE SANTI
I.
Qualcuno potrebbe pensare che Adriano Alloati sia uno degli ultimi eredi dei tardi
scultori dellOttocento: coloro che dedicavano una vita a raccontare una società e
un ambiente. Non cè nulla di meno vero. Quasi tutti i lavori plastici
dellartista torinese nascono da una morbida ossessione: la sua immaginazione
una fantasia molle, abbondante, metamorfica, intricatissima si tende fino
allestremo, per fissare una volta per tutte il volto delluniverso, di cui
cerca entro e attraverso la materia la forma nascosta, la forma addormentata,
come l'ha chiamata Moore.
In effetti Alloati quando lavora il bronzo sembra che possegga la divina intuizione del
vedere, come se vi fossero tracciati solo per lui i suoi confini invisibili, o se lavora
la creta ancora più miracolosamente veder tracciati quei confini nellaria e
assistere alla nascita dellopera come se fosse il corno di una creatura. Tra gli
scultori italiani della sua generazione, è uno dei pochi che ha avuto profonda coscienza
di questo destino scultoreo. Solo attraverso la padronanza assoluta della tékhne,
necessaria alla penetrazione della materia, si può acquisire una simile coscienza.
Alloati ha fatto precedere alle sue prime prove un lungo apprendistato, per lo più
trascorso nello studio del padre e in quello di Michele Guerrisi (lo stesso nel quale ha
preso avvio la folgorante avventura creativa di Umberto Mastroianni, di cui Alloati
specie in Piffolina del 37 ha
non poche affinità stilistiche con le sue opere coeve e unuguale Stimmung
di sintesi volumetrica), un lungo lavoro di preparazione, una lunga ricerca di quelle
quotidiane verità entro la pratica. Bronzi quali Elisabeth Weidhaas del
33 e Ragazza bavarese del 38, che paiono affrancarsi dalla realtà
nellevocazione del mito classicheggiante, sono al contrario laffermazione più
intensa di realtà che sia dato di vedere in quel periodo (dominato giova
ricordarlo dalla retorica celebrativa del Novecento e dalle eleganze di
un estenuato liberty funerario): intendiamo realtà in cui saggruma la storia e
lessere testimonia di sé, altrettanto lontana dalla cifra mediocre di un
naturalismo che punta su contenuti di per sé proclamati reali.
Certamente, sin dallinizio, Alloati fu attratto da Medardo Rosso, ma non scolpì mai
per impressione policroma, non morse il frutto umido e stillante della
sensualità pittorica della cera. Fu, semmai, attento al risparmio dei mezzi espressivi,
ed una sorta di understatement scultoreo basato su accordi lievi intorno al più
anonimo, al meno estroflesso dei colori, il tenue grigio cenere della fusione bronzea: un
grigio di cielo velato. E quando, come volevano le istanze del ritorno
allordine, si provò nelle composizioni religiose e nei
bassorilievi allegorici, non pensò affatto ai tagli ora impressionisti, ora
languidamente puristi di Rosso, ne approntò lorganizzazione narrativa della storia
alla maniera antica, non senza una certa civetteria neorinascimentale, quasi come un
seguace del Laurana e del Fanzago rinato accanto allatelier di Lorenzo Bartolini o
di Vincenzo Gemito e proiettato nel mezzo delle esperienze, ahimè alquanto tristi,
novecentesche.
Sono, insomma, le voci da studio. Ma dove il passato, quel particolare
passato, chiamiamolo così, forse impropriamente longhiano, quella particolare linea
dellarte di garbato e sensibile realismo tra Cinquecento e Ottocento, affiorava come
unombra lieve, come unombra leggera, come una generica rassomiglianza
familiare o unattenuata impronta genetica; come la proiezione di un ricordo, di
unimmagine della mente sulla quale innestare lispirazione di dar vita ad una
reincarnazione contemporanea di una qualità scultorea antica. Le opere subito dopo il
Quaranta da Adolescente in riposo del
41 a Studio per fontana del 45,
da Le sorelle del 43 a Maternità del 46 per quel
felice incontro, da una parte di suggestioni che erano il riflesso di una cultura
artistica ben orientata, positiva e moderna, dallaltra di unindubbia
sensibilità materica, contribuiscono a conferire alla scultura italiana di quegli anni
una luce particolare, limitata ma non priva di una sua intensità discreta, di un suo
fascino segreto e sottile.
II
Il linguaggio di Alloati è tutto dentro il nostro tempo: si vedano le preferenze
genetiche, quel tendere ad una volumetria essenziale ed aspra, incenerita, mediante un
chiaroscuro inspessito, con luci ora grame e polverose ora battenti sulle cose a fiati
forti e interrotti, che dove solidificano distruggono, lasciando dominante
lespressione agitata che mette in fuga le seduzioni del tono lirico e prudente. Ma i
pensieri e sentimenti che quel linguaggio esprime non hanno il limite cronologico
dellattualità, rifiutano le nostre ideologie utilitarie, i condizionamenti dello
scientismo, della tecnocrazia, dellantropologia: guardano, invece, alla perennità
dei valori.
Alloati attraversa oltre mezzo secolo darte italiana, con un tragitto che arriva,
dopo la sublime e contraddittoria Erfahrung figurativa di Arturo Martini, al
punto dove la scultura, ignorando non per superbia o per indifferenza ma per naturale
distacco quasi ogni influsso culturale e formale, si fa storia, sentimento e verità.
Questo tragitto scorre, come un fiume calmo ma vivo, tra le opposte sponde, le opposte
estremità, di arcaismi, primitivismi, archeologismi, mitologia da una parte e modernismi,
deformazioni, lacerazioni dallaltra. Passa dilato, distante, sempre esterno alle
più varie esperienze, movimenti o gruppi; non potendosi porre, a suo riguardo, questioni
di avanguardia, di astrazione, di indagini sperimentali, di dramma informale, di emergenza
della materia, e neanche di visione classica tout court.
Si può constatare, e i lavori Esquisse pour najade n. 5 del 46, Nudo in piedi del
52, Composizione mistica del 63 e Favola n. 3
di un decennio appresso lo pongono in luce in modo completo e inequivocabile, una grande
unità, senza salti, senza fratture, senza distrazioni, come se una tenacia, una sicurezza
naturale, avesse sempre e ugualmente sostenuto lo scultore nel suo rapporto con
lidea, con il sentimento e con la materia in cui infonderli. Alloati ha solo degli
aiuti ideali, che sono i maestri del passato, cui la sua passione e il suo spirito più si
sentono riverenti e più si riconoscono vicini: Donatello, Canova, Medardo Rosso, Maillol.
Ma non per imitarli; per trarne lezione di forma, di poesia, di moralità e di modestia.
Alloati sembra, però, solo di fronte alla materia che attende la sua mano o il suo
strumento per essere violata. Grande è limportanza e assoluta la presenza del nudo
muliebre nella sua opera; o la materia originaria, come Matuta mater, è
femminile, vitalmente passiva, attende un suscitatore, un vivificatore.
Ma ciò che sorprende a guardare nellinsieme e nella sua continuità la produzione
di Alloati è analizzarne lo stile, ossia la scrittura, sempre unita e unica,
costante, uguale, fin dalla sua precoce acquisizione, solo poi rinforzata, raffinata, resa
essenziale e possente nellabbraccio ampio della maturità. Difficile definirla e
descriverla questa lingua, questa Koinè della scultura; si può
cominciare ad avvicinarsi per negazione: non duramente realistica, non retorica, lontana
dai formalismi, non simbolica, non metaforica; un linguaggio da cui è bandito ogni
orpello, ogni movimento decorativo, ogni scoria, ogni sintagma che non sia essenziale,
necessario a quel rapporto immediato tra sentimento e sua espressione, tra idea e sua
incarnazione plastica. E uno stile piano, lento e pur guizzante, luminoso, ampio, tenero;
che suscita e crea le cose, le vicende, gli episodi, le persone, secondo realtà, verità,
e secondo la febbre e la passione che contengono.
E' raro trovare uno scultore che sia più dentro, più compromesso allantica,
alleterna anima plastica della scultura e della materia che la forma. Alloati è un
artista in spirito, in natura; capace di infondere luce, mobilità, agitazione interiore,
vento e quiete, dramma pacificato, consistenza terrena, umana voce, alla scultura. Nelle suites
della Favola e del Sogno la forza delleccesso fantastico
provoca il suo esprit de finesse. Conosce la dannazione dellartista
moderno. Egli possiede il proprio corpo e i propri sensi: talvolta una meravigliosa
finezza e delicatezza di sensazioni; ma nessun sistema simbolico, come quello di Degas,
che permette a qualsiasi sensazione di echeggiare su un vasto teatro. Così ogni artista
moderno questuomo solitario, senza figure e senza memoria deve
costruire con le sue mani un sistema mitologico-allegorico, come prima di lui avevano
fatto in letteratura Yeats e Pessoa.
Non si tratta di elaborare uno stilema intellettuale, rivaleggiando con i filosofi e con i
poeti: ma unarchitettura di sensazioni mascherate, di sigle occulte, di cenni, di
forze, di linea di fuga, di affinità o differenze, intrecciate tra loro come le onde del
mare. Alloati comprese ciò che alcuni suoi critici stentano ancora a comprendere. Sia per
lui sia per ogni cacciatore dinfinito lorigine del sistema era, in
certo modo, indifferente. Egli affondò le mani nei detriti dello spiritismo, ascoltando
le deboli voci delloltretomba, perché quelle voci balbettanti conservavano
lultima eco non importa se degradata della grande tradizione
neoplatonica, cuore della civiltà occidentale. Così, dietro il filo di spuma delle
sensazioni quotidiane, poteva far affiorare le profondità del vasto mare luminoso della
memoria storica dellarte.